20 May
20May

Per generazioni, la calvizie maschile è stata vista come un destino inevitabile, una sorta di lascito genetico da accettare con rassegnazione. E in effetti, oltre il 66% degli uomini, nel corso della propria vita, mostra segni più o meno marcati di alopecia androgenetica, la forma più comune di perdita di capelli. Ma se in passato le soluzioni erano pressoché nulle o aneddotiche, oggi il panorama terapeutico è profondamente cambiato. La ricerca scientifica, sostenuta da progressi in farmacologia, medicina rigenerativa e tecnologie dermatologiche, ha finalmente messo a disposizione una serie di strumenti efficaci per contrastare la perdita dei capelli.
Uno dei capisaldi del trattamento farmacologico resta la finasteride, un inibitore della 5-alfa-reduttasi di tipo II, capace di ridurre i livelli di diidrotestosterone (DHT), l’ormone responsabile della miniaturizzazione follicolare. Il suo impiego, approvato già dagli anni Novanta, ha dimostrato una discreta efficacia nel rallentare la caduta e nel favorire la ricrescita, seppur con una risposta individuale variabile. Tuttavia, con il tempo, l’interesse si è spostato verso una molecola ancor più potente: la dutasteride.



La dutasteride agisce in modo più ampio, inibendo sia la 5-alfa-reduttasi di tipo I che quella di tipo II. Questo si traduce in una soppressione del DHT molto più marcata rispetto alla finasteride. Gli studi clinici – come quello pubblicato su Journal of the American Academy of Dermatology (Olsen et al., 2006) – confermano che la dutasteride è significativamente più efficace nel promuovere la crescita dei capelli. Eppure, paradossalmente, non è mai stata autorizzata ufficialmente per il trattamento della calvizie, nonostante sia ampiamente utilizzata in off-label. Il motivo risiede nella cautela regolatoria legata ai potenziali effetti collaterali, in particolare sul piano sessuale, riportati però solo da una minoranza dei pazienti. La dutasteride presenta anche un interessante effetto anti-seborroico, che può essere vantaggioso nei pazienti con cuoio capelluto oleoso.
Una novità terapeutica particolarmente interessante è rappresentata dalla mesoterapia con dutasteride, una tecnica che prevede l’iniezione della molecola direttamente nel cuoio capelluto, minimizzando l’assorbimento sistemico e quindi riducendo significativamente il rischio di effetti collaterali. Studi preliminari, come quello pubblicato nel International Journal of Trichology (Gubelin Harcha et al., 2020), mostrano risultati incoraggianti, con una riduzione della caduta e un miglioramento della densità già dopo poche sedute.



A fianco della terapia ormonale, un ruolo importante continua ad averlo il minoxidil, il cui meccanismo d’azione – ancora oggi non completamente compreso – sembra coinvolgere la vasodilatazione e la stimolazione diretta dei follicoli. Si applica localmente, due volte al giorno, e può risultare poco pratico, soprattutto per chi ha capelli lunghi o cute sensibile. Tuttavia, proprio perché agisce con un meccanismo differente rispetto agli anti-DHT, il minoxidil può essere efficacemente usato in associazione, ottimizzando i risultati.
Nel campo delle terapie fisiche, si stanno aprendo scenari sempre più promettenti. La carbossiterapia, che prevede l’infusione sottocutanea di anidride carbonica, sembra migliorare la microcircolazione e l’ossigenazione dei tessuti, con un effetto stimolante sui follicoli dormienti. Anche se i dati sono ancora parziali, diversi studi osservazionali suggeriscono un beneficio clinico visibile già dopo poche sedute. Ancora più recente, ma potenzialmente rivoluzionaria, è la terapia con esosomi, piccoli vescicoli extracellulari che contengono RNA messaggeri e proteine capaci di modulare la crescita cellulare e l’infiammazione. Alcuni centri all’avanguardia stanno sperimentando l’uso di esosomi derivati da cellule staminali mesenchimali per la rigenerazione follicolare, con risultati che, seppur ancora in fase sperimentale, fanno ben sperare. La barriera principale, per ora, resta il costo elevato e la mancanza di protocolli standardizzati.
E poi c’è la chirurgia, che oggi si presenta in una veste nuova e molto più raffinata rispetto al passato. La tecnica micro-FUE (Follicular Unit Extraction) consente il trapianto di singole unità follicolari con cicatrici minime e un risultato estetico molto naturale. Tuttavia, anche questa strategia ha i suoi limiti: il numero di bulbi trapiantabili dipende dalla disponibilità dell’area donatrice, e nei casi avanzati di calvizie non sempre è sufficiente. Per questo motivo, è fondamentale intervenire tempestivamente: prima si comincia, maggiori sono le probabilità di preservare il patrimonio follicolare esistente.
L’alopecia androgenetica, insomma, non è più una condanna. Oggi esistono soluzioni efficaci, validate da studi scientifici solidi e da un’esperienza clinica in continua evoluzione. La sfida non è più quella di trovare una cura miracolosa, ma di costruire un percorso terapeutico personalizzato, che unisca farmaci, tecnologie e – quando serve – chirurgia, nel rispetto dell’unicità biologica e psicologica di ogni paziente. E per farlo, serve informazione, competenza e – soprattutto – il coraggio di superare vecchi pregiudizi.

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