17 Jun
17Jun

Viviamo nell’epoca dell’iper-igiene e del packaging perfetto, ma mentre ci preoccupiamo della scadenza o della provenienza degli alimenti, spesso ignoriamo un altro pericolo invisibile: quello delle contaminazioni legate ai materiali che usiamo quotidianamente per conservare, cucinare o trasportare il cibo. Dalle bottiglie di plastica alle pellicole trasparenti, dalle padelle antiaderenti alle lattine di alluminio, ogni oggetto può diventare, nel tempo, un veicolo di sostanze indesiderate che si trasferiscono nei nostri alimenti, goccia dopo goccia, grammo dopo grammo.


Le microplastiche, ad esempio, sono ormai ovunque. Ne sono state trovate nei ghiacciai, nella placenta umana, nell’aria che respiriamo e, naturalmente, anche nel cibo. Le bottiglie di plastica, soprattutto se esposte al calore o alla luce, possono rilasciare minuscole particelle di plastica o residui chimici, come l’antimonio o il BPA (bisfenolo A), sostanze sospettate di avere effetti endocrino-disrupting, cioè in grado di interferire con il nostro sistema ormonale. Anche le confezioni alimentari in Tetra Pak, che sembrano alternative ecologiche, contengono strati interni di plastica a contatto diretto con gli alimenti. E quando si riscaldano gli avanzi in un contenitore di plastica nel microonde? Anche se il contenitore è BPA-free, non è detto che sia privo di altre sostanze chimiche potenzialmente problematiche, come i bisfenoli sostitutivi (BPS, BPF) o gli ftalati.Un’altra fonte controversa è l’alluminio, usatissimo in cucina. È presente nelle lattine, nelle vaschette per cuocere al forno, nella carta stagnola e in molte borracce “riutilizzabili”. A basse dosi è tollerato dal nostro organismo, ma l’esposizione cronica e a dosi superiori a quelle fisiologiche potrebbe contribuire a disturbi neurologici. Alcuni studi ipotizzano un collegamento tra accumulo di alluminio nel tessuto cerebrale e malattie degenerative come l’Alzheimer, anche se il nesso non è ancora del tutto confermato. Il rischio aumenta se si conservano alimenti acidi (come il succo di limone o il pomodoro) in contenitori in alluminio non rivestito, poiché l’acidità favorisce il rilascio del metallo. Per questo motivo, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) ha fissato una dose settimanale tollerabile (TWI) di alluminio pari a 1 mg per kg di peso corporeo. Ma quanto ne assumiamo davvero? Dipende dal nostro stile di vita e da quanti prodotti preconfezionati o utensili in alluminio usiamo ogni giorno.E poi c’è il capitolo più spinoso: il Teflon. Un tempo rivoluzionario per la sua capacità antiaderente, oggi è al centro di una delle più gravi crisi ambientali e sanitarie legate all’inquinamento industriale. 


Il caso DuPont/3M, raccontato nel film Dark Waters e nel documentario The Devil We Know, ha mostrato al mondo cosa può accadere quando si sottovaluta la tossicità dei materiali. Per decenni, le industrie chimiche hanno prodotto utensili antiaderenti usando il PFOA (acido perfluoroottanoico), una sostanza appartenente alla vasta famiglia dei PFAS i composti “eterni” che si accumulano negli organismi e nell’ambiente, resistendo alla degradazione. Gli effetti sono stati documentati in numerosi studi: il PFOA è stato associato a danni epatici, disfunzioni tiroidee, infertilità, alcuni tumori e alterazioni del sistema immunitario. Tanto che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) lo ha classificato come possibile cancerogeno per l’uomo.Oggi molte padelle antiaderenti sono etichettate come “PFOA-free”. Ma è sufficiente per rassicurarci? In parte sì, ma non del tutto. Per sostituire il PFOA, l’industria ha introdotto altre molecole simili, come il GenX, che sembrano avere un profilo tossicologico non molto diverso, ma sono meno studiate. Inoltre, il problema non è solo cosa c’è all’inizio della vita di una padella, ma cosa succede dopo mesi o anni di utilizzo: graffi, abrasioni e surriscaldamenti possono alterare la superficie e portare al rilascio di particelle o gas, soprattutto se si cucina oltre i 250°C. I materiali ceramici e il titanio rivestito sono tra le alternative più sicure, anche se spesso più costose.Il paradosso è che, nel tentativo di vivere meglio e più a lungo, ci siamo circondati di comodità che, se usate con superficialità, rischiano di ritorcersi contro. 



Non si tratta di demonizzare ogni oggetto, ma di fare scelte più consapevoli. Preferire contenitori in vetro per conservare il cibo, optare per borracce in acciaio inox, usare padelle in materiali inerti o almeno non rovinate, non è allarmismo: è buon senso. È un modo per esercitare il nostro diritto alla salute, anche nei piccoli gesti.Siamo ancora lontani da una certezza assoluta, ma la scienza continua ad accumulare prove. Uno studio pubblicato nel 2024 su Environmental Science & Technology ha rilevato microplastiche in quasi tutti i campioni di tessuti intestinali esaminati, suggerendo un’esposizione cronica. Altri lavori, come quelli del team di Philipp Schwabl all’Università di Vienna, dimostrano la presenza di microplastiche nelle feci umane e negli alimenti confezionati. 

Possiamo iniziare a ridurre l’esposizione già oggi. In fondo, quello che mangiamo è solo una parte della storia.  Io personalmente ho eliminato bottiglie di plastica, bicchieri e piatti di plastica se volete ci sono le alternative in cartone pressato, sto cercando di eliminare alluminio e teflon con acciaio e ceramica. Il cibo come lo conserviamo, lo cuociamo e lo trasportiamo conta. E la salute, come sempre, è fatta di dettagli.


Bibliografia e fonti scientifiche:

  1. Schwabl, P. et al. (2018). Assessment of microplastic concentrations in human stool – preliminary results of a prospective study. United European Gastroenterology Week (UEGW).
    → Primo studio che ha dimostrato la presenza di microplastiche nelle feci umane.
  2. Leslie, H.A. et al. (2022). Discovery and quantification of plastic particle pollution in human bloodEnvironment International, 163: 107199.
    → Ha rilevato per la prima volta microplastiche nel sangue umano, aprendo il dibattito su assorbimento sistemico.
  3. EFSA Panel on Contaminants in the Food Chain (2008, aggiornato 2020). Scientific Opinion: Safety of aluminium from dietary intakeEFSA Journal.
    → Documento ufficiale che definisce la soglia settimanale tollerabile (TWI) per l’alluminio.
  4. Grandjean, P. & Clapp, R. (2015). Perfluorinated Alkyl Substances: Emerging Insights into Health RisksNew Solutions, 25(2), 147–163.
    → Una panoramica accessibile ma rigorosa sugli effetti dei PFAS, compreso il PFOA, sull'organismo umano.
  5. Post, G.B., et al. (2017). Perfluorooctanoic acid (PFOA), an emerging drinking water contaminant: a critical review of recent literatureEnvironmental Research, 116, 93–117.
    → Approfondimento su contaminazione da PFOA e rischio cancerogeno.
  6. Zhang, Y., et al. (2024). Microplastics in food: an emerging health concernEnvironmental Science & Technology, 58(2), 1345–1356.
    → Studio recente che ha rilevato presenza di microplastiche in alimenti confezionati e tessuti biologici.
  7. The International Agency for Research on Cancer (IARC)Monographs on the Identification of Carcinogenic Hazards to Humans.
    → Il PFOA è classificato come “possibly carcinogenic to humans” (Gruppo 2B).
  8. EPA (United States Environmental Protection Agency)PFAS Strategic Roadmap (2021–2024).
    → Documento guida su PFAS, misure di contenimento e alternative industriali.
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